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  • 24/07/1997
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  • Una mia piccola recensione alla bellissima “Arcobaleno”: https://grammaticadellosquilibrio184859341.wordpress.com/2021/01/31/note-per-le-note-di-arcobaleno-a-giuliano-sangiorgi/
    Una mia piccola recensione alla bellissima “Arcobaleno”: https://grammaticadellosquilibrio184859341.wordpress.com/2021/01/31/note-per-le-note-di-arcobaleno-a-giuliano-sangiorgi/

    Sembra di vetro la tua anima e crea un arcobaleno, se il sole esagera.

    Interpretare una canzone, indovinarne la fessura del senso è una strada giusta? Forse no. Una canzone è la sua melodia, i percetti, le vibrazioni e i flussi intensivi che lascia agitare: la canzone parla attraverso le sue strutture formali, attraverso il suo materiale – quel materiale che è suono, parola, pausa, silenzio, voce doppiata. La penna di Giuliano Sangiorgi, riconoscibile, anche quando si maschera e si mimetizza, esibisce un trionfo di colori in un Arcobaleno per Ornella Vanoni. Ornella, mai stanca di cantare, di sognare. Il “padre” e la “madre” di questo brano rompono in mille pezzi il quadretto familiare: la figura paterna rimpicciolisce fino a divenire l’ultimo residuo di un addio, quella materna ingrandisce fino a raggiungere la forma ingombrante del sogno. Una madre sogna l’America, un posto lontano: sognare un posto lontano sta forse per il sognare un posto diverso, un posto qui e ora, trasfigurato in un’immagine irriconoscibile. Questo posto è restituito dalla musica, che smussa i contorni provocando uno squarcio dell’ordinario, del banale e del sempre-uguale. La musica non basta a disinnescare la carica detonante dell’ingiustizia sociale, ma la musica, quando non si appiana su un ritornello già ascoltato, su combinazioni di parole già decifrate, rivela nella sua plasmabilità la possibilità di plasmare il mondo. È per questo che resiste all’interpretazione: non c’è nulla da interpretare, solo da sperimentare. Sperimentare incontri potenziali in un tempo in cui gli incontri restano inconcessi. Perché pensare all’arcobaleno come alla quiete dopo la tempesta? L’arcobaleno è lì “quando il sole esagera”. È una esagerazione del sole, non una compensazione alle scocciature della pioggia. Ridere dopo il pianto è una convalida della nevrosi; ridere, ridere e basta. Perché, come direbbe un filosofo francese, il corpo triste, il corpo affetto da passioni tristi è il corpo assoggettato, organizzato dalle dinamiche di potere. Sangiorgi ci lascia scorgere il piacere della sfera solare, senza dirlo – mostrandocelo con un dito. Solo l’idiota si ferma a guardare il dito che indica – non la luna – il sole. Perché, come diceva il musicista della dissonanza, Arnold Schönberg: “si dipinge un’immagine, non quello che essa rappresenta”. Siamo anime vitree: l’anima è visibile, è l’invisibile del visibile, è al di qua del corpo e riflette, come uno specchio matto, le variazioni dell’universo.

    Melania Moltelo

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